mercoledì 8 aprile 2009

Storia della Protezione Civile in Italia

1. Storia della Protezione Civile in Italia

E’ difficile indicare cosa si intenda per Protezione Civile se non ci si riallaccia all'evoluzione che nel tempo ha avuto tale concetto nella coscienza sociale del nostro Paese.
Come spinta emotiva trova radici lontane nelle popolazioni contraddistinte da un profondo senso civico e rappresenta la manifestazione evidente dei sentimenti di solidarietà, collaborazione e spirito di organizzazione di un gruppo sociale.
La storia racconta di organizzazioni solidaristiche e di volontariato tese a portare il proprio aiuto in occasione di grandi emergenze, già con gli Ordini religiosi medievali e con le prime strutture laiche, quali le Misericordie sorte a Firenze nel 1240 o i Vigili del Fuoco presenti da secoli nelle vallate alpine.
D'altronde un territorio come il nostro, spesso soggetto a calamità naturali che provocano danni, talvolta ingenti, con gravissime ripercussioni sulla vita economica e sociale del paese, non poteva non vedere anche la nascita di una forte vocazione al volontariato che si è sempre caratterizzato come valido supporto dell'autorità di governo.
Sia le forze spontane del Paese che quelle facenti capo alle Istituzioni pubbliche hanno avuto, in passato, strutture organizzate al fine di intervenire per prestare i soccorsi necessari per salvare vite umane, per alleviare le sofferenze dei malati, dei feriti, trovare un letto a chi avesse perduto la propria casa, distribuire cibo e vestiario, ripristinare le vie e i mezzi di comunicazione, insomma per cercare di riportare le zone colpite ad una situazione di vita nuovamente normale.
Tralasciando la legislazione preunitaria, che pure ha prodotto norme significative, e partendo dall’Unità d’Italia, assistiamo ad un’intensa attività legislativa. Vedono così la luce numerose ed eterogenee disposizioni di carattere generale accompagnate da legislazione ad hoc adottate a seguito di particolari calamità.
Prefetti e Sindaci intervengono in situazioni di emergenza, limitando e requisendo, se del caso, anche la proprietà privata e lo fanno utilizzando il generale potere di ordinanza assegnatogli dalla legge 2359 del 1865. Si tratta di uno strumento tuttora largamente utilizzato.
Nei primi anni del ‘900 vengono varate alcune significative leggi. E’ il caso, nel 1906, di disposizioni particolari aventi per oggetto alluvioni, mareggiate e uragani. Nel 1908, a seguito del terremoto di Messina, viene introdotta la classificazione sismica del territorio e diventa vigente la prima normativa antisismica.
Si tratta di norme di un qualche valore, che però si trovano ad esplicare i propri effetti entro un quadro normativo disorganico e scollegato che non consente di affrontare seriamente né tantomeno di prevenire il rischio indotto dai fenomeni naturali. Bisognerà attendere il 1925 perché sia varata la prima normativa organica.
Con la legge 473/1925 il soccorso alle popolazioni colpite da eventi calamitosi viene delegato al Ministro dei Lavori Pubblici e al suo braccio operativo rappresentato dal genio civile, con il concorso delle strutture sanitarie.
Successivamente la legge n° 833 del 1928 precisò meglio l’organizzazione pubblica destinata ad intervenire, mantenendo al ministero dei LL.PP, che allora era l’unico che disponesse di mezzi tecnici organizzati, il potere di dirigere e coordinare gli interventi anche delle altre amministrazioni dello Stato. La legge di conversione 833 ha affidato ai prefetti, rappresentanti del governo nella provincia, il compito di attuare tale azione di coordinamento, dando a questi ultimi il potere di gestire gli interventi immediati necessari subito dopo il verificarsi di un evento calamitoso; tali poteri cessavano allorché il Ministro assumeva direttamente sul posto l’incarico della direzione delle operazioni. La stessa legge prevedeva eguali compiti per i Sindaci con riferimento al territorio comunale: essi, appena venuti a conoscenza dell’evento, dovevano inviare sul luogo i pompieri e il personale a loro disposizione, dandone immediata notizia al Prefetto. Le competenze del Sindaco si esaurivano a questi due adempimenti, peraltro essenziali nella prima emergenza.
E’ sempre in questi anni che l’organizzazione del servizio antincendio inizia a mutare profondamente. Dobbiamo pensare che dal XVIII secolo fino al 1926 tale servizio era strutturato unicamente su base comunale. A partire da quest’anno e fino al 1938, attraverso varie disposizioni legislative , si operò una profonda ristrutturazione di questa funzione. Infatti, con il R.D.L. n° 1021 del 1938, i pompieri assunsero la moderna denominazione di “Vigili del Fuoco”, e con successivo R.D.L venne ridefinito il “Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco” e istituita, in seno al ministero dell’interno, l’apposita Direzione generale dei Servizi Antincendio”.
Non si poteva ancora parlare di vera e propria Protezione Civile e di organi operativi appositi, anche se la normativa faceva già riferimento a precisi aggregati pubblici per lo svolgimento di attività di protezione civile.
E si arriva così al dopoguerra, dove, nel clima di rinnovamento seguito al secondo conflitto mondiale, si vedono tentativi per arrivare ad una legislazione organica di protezione civile.
Negli anni 1950,1962 e 1967 vengono infruttuosamente presentati progetti di legge specifici. Nel frattempo alcuni eventi calamitosi particolarmente gravi, come la catastrofe del Vajont nel 1962, le alluvioni del 1966, la frana di Agrigento nello stesso anno e il tragico terremoto nella Sicilia orientale nel 1968 accelerarono la predisposizione e l’approvazione di nuovi strumenti legislativi più idonei.
La prima vera svolta, in questo senso, si ha nel 1970 con la promulgazione della legge 996 che titola “Norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite da calamità”. Si hanno, così, per la prima volta, disposizioni di carattere generale che prevedono un’articolata organizzazione di protezione civile. Con questa legge si recepisce, per la prima volta nel nostro ordinamento, il concetto di protezione civile, definendola come “l’attività intesa alla predisposizione concertata, in tempo di normalità, dei servizi di emergenza, di soccorso e di assistenza, e a predisporre, al verificarsi della calamità, in forma coordinata ed unitaria, tutti gli interventi delle amministrazioni dello Stato, delle Regioni, degli enti locali territoriali e degli altri enti pubblici istituzionali”.
E’ stata inoltre precisata, per la prima volta, la nozione di calamità naturale e di catastrofe, definite come “l’insorgenza di situazioni che comportino grave danno e pericolo di danno all’incolumità delle persone e dei beni, e che per la loro natura ed estensione debbano essere fronteggiate con interventi tecnici straordinari”.
Siamo dunque in presenza di un nuovo concetto di protezione civile, intesa come predisposizione e coordinamento degli interventi e, a tal fine, si individuavano i compiti fondamentali demandati agli organi della protezione civile, ponendo in primo piano l’esigenza della pianificazione a livello nazionale, regionale e provinciale, e della più razionale organizzazione degli interventi, a calamità avvenuta.
L’Organismo a cui è dedicata gran parte della legge è il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
La legge ritaglia un ruolo centrale al Ministero dell’Interno cui è affidato il compito di soccorso tecnico urgente e di assistenza. Il coinvolgimento delle autonomie locali è molto limitato, si deve però che le Regioni nascono proprio in quell’anno.
La legge 996 privilegia il momento dell’emergenza; pur anticipando le nuove future linee guida della protezione civile in senso globale, organizza il solo momento operativo che coincide con il disastro, con il soccorso da attuare un attimo dopo l’evento catastrofico.
Il regolamento d’esecuzione della legge in questione fu approvato solo dopo 11 anni, mentre nel frattempo rovinosi terremoti avevano colpito e devastato nel 1976 il Friuli e nel 1980 vaste zone della Campania e della Basilicata.
Anche a seguito di questi avvenimenti cominciò a farsi strada l’idea della necessità di prevedere stabilmente l’istituzione di un Alto Commissario per il coordinamento degli interventi di protezione civile.
Si hanno, quindi, norme che danno corpo e contenuto a questa impostazione. Con un’apposita legge, nel 1982, viene nominato un Ministro per il coordinamento della protezione civile che nella sua attività si avvarrà del Dipartimento della Protezione Civile, istituito con DPCM del 22 giugno 1982.
Con un’ulteriore legge viene conferito al nuovo Ministro il potere di emanare, in situazioni di emergenza, provvedimenti immediatamente esecutivi in deroga alla normativa vigente.

Ricordavamo come il Friuli nel 1976 e Irpinia nel 1980 segnano una pagina dolorosa ed uno sconvolgimento radicale della coscienza e dell’organizzazione logistica in possesso dello Stato.
Di fronte alle catastrofi, ai morti, al patrimonio edilizio devastato, allo sconvolgimento radicale dell’assetto paesaggistico dei territori, l’immagine di un esercito che interviene un attimo dopo non basta più, mostra tutti i suoi limiti. Si fa strada l’idea che i disastri vadano affrontati dopo averli immaginati e descritti e che occorra sì dimensionare le strutture d’intervento in caso di disastri, ma occorre farlo tenendo conto di scenari già elaborati e di misure di prevenzione già poste in atto. Si impongono studi per la previsione dei disastri, per la prevenzione degli effetti che consentano un momento finale repressivo attuato però in quadro già reso più tollerabile da interventi di riduzione del rischio.
I tempi sono oramai maturi per un cambiamento radicale.
Finalmente viene promulgata la n° 225 del 4 febbraio 1992. Dopo 22 anni dalla legge n° 996 del 1970 nasce il Servizio Nazionale della Protezione Civile con la cui istituzione la struttura di protezione civile del Paese subisce una profonda riorganizzazione.
Questa legge istituisce il Servizio Nazionale della Protezione Civile, con l'importante compito di "tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi".
Tale legge disciplina la protezione civile come sistema coordinato di competenze al quale concorrono le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Provincie, i Comuni e gli altri enti locali, gli enti pubblici, la comunità scientifica, il volontariato, gli ordini e i collegi professionali e ogni altra istituzione anche privata.
Un tale complesso sistema di competenze trova il suo punto di collegamento nell'affidamento delle funzioni di impulso e coordinamento al Presidente del Consiglio dei ministri.
La nuova filosofia della Protezione civile è ora saldamente impostata su quattro linee fondamentali: previsione, prevenzione, soccorso, superamento dell’emergenza.
Collocare questa legge nella fase decentrata non è propriamente corretto in quanto significative competenze vengono mantenute in capo allo Stato ed alla sua Amministrazione periferica. Essa più propriamente può essere definita una legge che rappresenta un momento di passaggio fra la fase accentrata e quella decentrata in quanto, se è vero che, con particolare riferimento alle competenze operative, essa continua ad imperniarsi sull’amministrazione centrale e periferica dello Stato, è altrettanto vero che per la prima volta, soprattutto per ciò che riguarda previsione e prevenzione, essa aumenta notevolmente il peso di Regioni, Province e Comuni.
A partire dai primi anni ’90 la domanda regionalista/federalista, condiziona ed orienta il dibattito politico.
In risposta a questa domanda Governo, Parlamento e quasi tutte le forze politiche si accordano su di un consistente trasferimento delle competenze, dal centro alla periferia, sulla base dei principi di “sussidiarietà” ed “integrazione”, in modo da avvicinare la soluzione dei problemi ai cittadini e ai rappresentanti dei cittadini.
In questo contesto viene ridefinita anche la materia della Protezione Civile. Il Decreto Legislativo n° 112 del 1998 ha in tre articoli rideterminato l’assetto della Protezione civile a livello delle competenze, da una parte trasferendo importanti ruoli alle Autonomie Locali, stavolta anche di tipo operativo, dall’altra prefigurando una profonda ristrutturazione anche per ciò che riguarda le residue competenze statali.
Il quadro di riferimento “ideologico” resta comunque la 225/92 che disciplina la Protezione Civile come servizio e, soprattutto, identifica le categorie degli eventi e delle attività della Protezione Civile stessa.
2. Attività del Servizio Nazionale della Protezione Civile

L’azione di Protezione Civile è volta alla previsione e prevenzione delle varie ipotesi di rischio, al soccorso delle popolazioni sinistrate e ad ogni altra attività necessaria e indifferibile diretta a superare l’emergenza connessa ad eventi calamitosi naturali o di origine antropica.

Previsione
La previsione consiste nelle attività dirette allo studio e alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, alla identificazione dei rischi e alla individuazione delle zone del territorio soggette ai rischi stessi.
La storia delle grandi catastrofi che hanno colpito il nostro Paese negli ultimi decenni ci ha insegnato che, per proteggere con efficacia la vita dei cittadini e il patrimonio delle comunità, non bisogna puntare solo su soccorsi tempestivi, ma occorre dedicare energie e risorse importanti alla previsione e alla prevenzione delle calamità.
L'attività di previsione è assicurata da un sistema di reti che collegano la protezione civile ai centri nazionali di ricerca scientifica, a sistemi tecnologici di raccolta ed elaborazione di informazioni sui diversi tipi di rischio e sulle condizioni che possono aumentare le probabilità di pericolo per la collettività, a centri di elaborazione delle informazioni in grado di segnalare con il massimo anticipo possibile le probabilità che si verifichino eventi catastrofici.
Questo insieme di attività tecnico-scientifiche, che vanno dalla raccolta di informazioni sul territorio alla loro elaborazione, fino alla interpretazione dei dati raccolti in base a modelli e simulazioni di eventi, mette in condizione la protezione civile, ai vari livelli, di valutare le situazioni di possibile rischio, allertare il sistema di intervento con il massimo anticipo utile, ma anche di fornire alle autorità preposte gli elementi necessari a prendere decisioni ragionate e tempestive.
E' questo il lavoro continuo, poco visibile, ma di fondamentale importanza, dei nuclei di previsione della protezione civile, che si sta trasformando in una rete di "Centri funzionali" organizzati a livello nazionale e regionale. Attraverso la conoscenza precisa e puntuale del territorio e dei possibili fenomeni all'origine delle catastrofi, l'utilizzo di reti tecnologicamente avanzati, come le reti radar per le previsioni metereologiche, la rete nazionale dei sismografi, i sofisticati sistemi di monitoraggio dell'attività dei vulcani, e delle migliori competenze scientifiche e professionali disponibili mette la protezione civile italiana in condizione di intervenire con allerta tempestivi e, quando possibile, con misure preventive come l'evacuazione delle aree a rischio. Grazie proprio all'evacuazione preventiva delle aree a rischio la recente inondazione che ha colpito il Piemonte nel 2002 non ha provocato vittime, mentre un analogo evento verificatosi solo due anni prima si era rivelato fatale per decine di persone.

Prevenzione
L’attività di prevenzione è l’insieme delle azioni da porre in essere per evitare o ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni conseguenti ad eventi calamitosi, anche sulla base delle conoscenze acquisite a seguito dell’attività di previsione.
Anche in questo caso, come per l' attività di previsione, la conoscenza del territorio e delle soglie di pericolo per i vari rischi costituisce la base, per individuare gli indirizzi e le linee dei vari tipi di interventi di prevenzione possibili.
Tali azioni possono essere di carattere strutturale e/o organizzativo del sistema di protezione civile, finalizzate a ridurre il grado di pericolosità, vulnerabilità ed esposizione. In pratica finalizzate a giungere a quello che, in gergo, viene definito "Rischio Residuo", cioè quel rischio che, inevitabilmente, comporta un evento calamitoso.
Una corretta ed efficiente organizzazione del "sistema protezione civile" va in questa specifica direzione e quindi, pur non essendo un intervento strutturale, assume una grandissima rilevanza la possibilità di poter disporre di uno specifico Piano Comunale di Protezione Civile che contenga, oltre alla specifica delle varie tipologie di rischio, un dettagliato protocollo di intervento in caso di eventi, siano essi prevedibili o meno.
E' compito della protezione civile individuare e segnalare alle Autorità competenti gli interventi utili a ridurre entro soglie accettabili la probabilità che si verifichino eventi disastrosi, o almeno a limitare il possibile danno.
In questo contesto si inquadrano tutte le attività volte all'aggiornamento di specifiche "mappe del rischio" come la revisione della carta sismica, il costante adeguamento della carta del rischio idrogeologico nonchè ogni altro studio di rischio.

Soccorso
Come abbamo visto, prima della "concezione moderna" di protezione civile, le cui basi sono state gettate nella Legge 225/1992, quest'ultima era vista solo ed esclusivamente interessata a questo tipo di attività.
Il soccorso alle popolazioni colpite da eventi catastrofici, per molti anniè stato l'unica attività in cui si intravedeva un embrione di "protezione civile"; organizzato o meno che esso fosse, ciò che caratterizzava nel "comune pensare" gli interventi di protezione civile era appunto l'impatto derivante da una miriade di persone impegnate nel prestare aiuto a popolazioni colpite di volta in volta da un terremoto o da un'alluvione.
Infatti, le prime leggi dello Stato in questa materia, si caratterizzano quale un tentativo di organizzazione delle attività volte al prestare soccorso a popolazioni bisognose. Solo con l'avvento della attuale "cultura" di protezione civile, il soccorso è stato visto come attività essenziale ma non unica verso cui, il complesso sistema, dirige le proprie forze.
Il soccorso, come del resto tutte le attività codificate, deve essere ben organizzato e funzionalmente efficiente perchè il medesimo possa avere una valida riuscita e la metodica organizzativa di questa attività, è dettagliatamente specificata all'interno del Piano Comunale di Protezione Civile.

Superamento dell’emergenza
Questa fase a cui il sistema di protezione civile è chiamato, è certamente l'attività che in modo più vasto e di ampio respiro può interessare tutte le competenze dei vari orgnismi ed istituzioni interessate.
Il superamento dell’emergenza consiste, in pratica, unicamente nell’attuazione delle iniziative necessarie ed indilazionabili volte a rimuovere gli ostacoli alla ripresa delle normali condizioni di vita.
Da ciò si deduce facilmente che l'attuazione di questa fase può transitare tramite le azioni volte a rimuovere ostacoli fisici che impediscono, ad esempio, la ripresa delle ordinarie attivitrà scolastiche interrotte a seguito di un evento piuttosto che l'emanzione, da parte degli organismi competenti, di specifiche direttive mirate a facilitare la ripresa di attività industriali improvvisamente arrestatesi a causa di un evento calamitoso.

Relazioni intrenazionali
Il Dipartimento nazionale della Protezione Civile opera anche a livello internazionale, in accordo con le analoghe istituzioni di altri Paesi e nel quadro delle istituzioni internazionali a livello mondiale e soprattutto europeo, e partecipa ad interventi di protezione civile all'estero, che rappresentano un segno della solidarietà internazionale dell'Italia e della capacità operativa, tecnica ed umana degli uomini della nostra protezione civile.
Il Dipartimento punta molto, oggi, anche allo sviluppo di relazioni internazionali a livello tecnico-scientifico, nella consapevolezza che spesso i rischi ambientali sono legati a fattori che vanno ben al di là dei confini nazionali. A livello di prevenzione a medio e lungo termine, soprattutto in campo idrogeologico, si è dimostrato utile lo sviluppo internazionale delle reti di informazione e monitoraggio, lo scambio di informazioni e di metodologie, l'avvio di relazioni permanenti con centri di ricerca, specialisti e strutture organizzate dalla protezione civile degli altri Paesi europei.
Questa nascente cooperazione internazionale permette all'Italia di verificare e valutare metodi, procedure, tecniche operative e modelli organizzativi alla luce delle esperienze compiute in altri Paesi, ma anche di esportare fuori dei confini nazionali il know how del nostro sistema di protezione civile, con particolare riguardo all'esperienza del volontariato italiano, unica nel panorama europeo per estensione e organizzazione.


3. Il metodo Augustus

La ciclicità degli eventi calamitosi è un fatto costante, mentre sono variabili l'entità del danno ed il tipo di soccorsi necessari per superare le emergenze provocate. Per questo si dice che le emergenze non sono mai uguali tra loro, a parità di intensità dell'evento che si manifesta.
In sostanza gli eventi, per quanto previsti, al loro "esplodere" sono sempre diversi.
Proprio per questo gli operatori della protezione civile debbono essere pronti a gestire l'incertezza, ovvero l'insieme delle variabili che di volta in volta caratterizzano il manifestarsi di una calamità.
Duemila anni fa l'Imperatore Ottaviano Augusto affermava che "il valore della pianificazione diminuisce con la complessità dello stato delle cose". In questa frase è racchiusa la filosofia che indirizza la moderna pianificazione dell'emergenza.

Elaborato dal Dipartimento della Protezione Civile e dal Ministero dell'Interno, il Metodo "Augustus" fornisce una metodologia per la pianificazione dell'emergenza, individuando nella flessibilità e nella semplicità i cardini di un efficiente sistema di intervento in caso di calamità.
Potrebbe sembrare la "scoperta dell'acqua calda", ma in realtà a questo metodo ci si è arrivati attraverso un percorso lungo e faticoso, segnato da amare esperienze e da brucianti fallimenti.
Infatti, nel nostro Paese non mancano i materiali ed i mezzi per affrontare l'emergenza, né le risorse umane. E' sempre mancata una strategia per attivare queste forze tempestivamente e sinergicamente.
Il Metodo Augustus ha, quindi, rappresentato per il nostro Paese e per il concetto di protezione civile una rivoluzione profonda del modo di pensare all'emergenza ed alla difesa della popolazione e del territorio dagli eventi calamitosi.

Lo strumento di questa strategia è rappresentato dai piani di protezione civile - o piani di emergenza - ovvero i supporti operativi ai quali le autorità - a partire da quelle locali fino a quelle nazionali - si riferiscono per gestire l'emergenza con il massimo livello di efficacia.
Il Piano di emergenza è il progetto di tutte le attività coordinate e di tutte le procedure che devono essere adottate per fronteggiare un evento calamitoso atteso in un determinato territorio, in modo da garantire l'effettivo ed immediato impiego delle risorse necessarie al superamento dell'emergenza ed il ritorno alle normali condizioni di vita.
Esso nasce da uno studio sulla vulnerabilità del territorio, la possibilità che questo sia investito da un evento disastroso, l'analisi del massimo rischio ipotizzabile.
Il Piano di emergenza deve definire innanzitutto gli scenari di rischio, sulla base della vulnerabilità del territorio interessato (aree, popolazione coinvolta, strutture danneggiabili, strutture produttive, ecc.) al fine di poter predisporre un quadro globale ed attendibile relativo all'evento atteso e quindi poter dimensionare preventivamente la risposta operativa necessaria al superamento della calamità.
Il piano di emergenza è quindi tarato su una situazione verosimile, che viene aggiornata ed integrata non solo in relazione ai mezzi ed agli uomini a disposizione, ma anche in relazione ad eventuali nuove conoscenze sui rischi del territorio, o aggiornamenti dei sistemi di monitoraggio o allerta della popolazione.
I Piani di emergenza, come abbiamo visto, sono strumenti di pianificazione che hanno nella loro dinamicità il punto di forza. In tal senso, dunque, le esercitazioni rivestono un ruolo fondamentale, al fine di verificare la reale efficacia e tempestività del piano di emergenza.
Devono essere svolte periodicamente a tutti i livelli secondo le competenze attribuite alle strutture operative previste nel piano stesso.
Le esercitazioni vengono organizzate secondo diverse tipologie:
 esercitazioni senza preavviso per le strutture operative previste dal piano
 esercitazioni congiunte tra strutture operative e popolazione interessata all'evento simulato
 esercitazioni senza preavviso del solo sistema di comando e controllo, per accertarsi del funzionamento delle procedure di reperibilità dei responsabili delle funzioni di supporto e per testare l'efficienza dei collegamenti.


Il piano comunale di protezione civile
Ha lo scopo di disporre, secondo uno schema ordinato, il complesso delle attività operative per un coordinato intervento di prevenzione e soccorso in emergenza a favore delle popolazioni esposte all'evento calamitoso. E' il supporto operativo al quale il Sindaco, l'autorità locale di Protezione Civile, si riferisce per gestire l'emergenza.

Il Piano di emergenza comunale deve contenere:
 dati di base e scenari
ovvero la raccolta ed organizzazione di tutte le informazioni relative alla conoscenza del territorio, della distribuzione della popolazione e dei servizi, dei fattori di pericolosità, di rischio, della vulnerabilità e dei conseguenti scenari, al fine di disporre di tutte le informazioni antropico - territoriali utili alla gestione dell'emergenza
 modello di intervento
ovvero l'individuazione dei soggetti, delle competenze, delle procedure operative necessarie all'organizzazione ed all'attivazione delle azioni corrispondenti alla necessità del superamento dell'emergenza.
Strumento indispensabile della pianificazione e della gestione dell'emergenza è rappresentato dalle funzioni di supporto, ovvero l'organizzazione delle risposte che occorre dare alle diverse esigenze che possono manifestarsi in un evento calamitoso.
In funzione di ciò sono state costituite 9 funzioni di supporto, ognuna con competenze in materie specifiche, tutte collegate fra loro in modo da poter dare una risposta sinergica ed efficiente a qualsiasi problematica possa proporsi.
1. Tecnico Scientifico – Pianificazione
2. Sanità, Assistenza Sociale e Veterinaria
3. Volontariato
4. Materiali e mezzi
5. Servizi essenziali e attività scolastica
6. Censimento danni a persone e cose
7. Strutture operative locali
8. Telecomunicazioni
9. Assistenza alla popolazione
Ogni singola funzione avrà un proprio responsabile che in "tempo di pace" aggiornerà i dati relativi alla propria funzione e, in caso di emergenza, nell'ambito del territorio comunale, affiancherà il Sindaco nelle operazioni di soccorso.

Il Sindaco, in qualità di Autorità comunale di protezione civile, al verificarsi dell'emergenza, nell'ambito del proprio territorio comunale, si avvale del Centro Operativo Comunale (C.O.C.) per la direzione ed il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione colpita.
Il C.O.C. è presieduto dal Sindaco ed è composto dai responsabili delle funzioni di supporto finalizzate ad organizzare e svolgere le attività necessarie ad affrontare le criticità che si manifestano nel corso dell'evento calamitoso.


I Piani di emergenza provinciali
Sono realizzati dal Prefetto, autorità di protezione civile provinciale, e dall'amministrazione locale. Hanno la stessa impostazione di quelli comunali, ma interessano un territorio più vasto e complesso. Nei piani di emergenza provinciali, obbligatori come quelli comunali, sono previste più funzioni di supporto, necessarie per la gestione di una emergenza che coinvolge un territorio vasto e diversificato.
Il C.C.S. individua al proprio interno i coordinatori di riferimento per assolvere alle seguenti funzioni di supporto, individuate nel Piano Provinciale di Protezione Civile:

1. Tecnico Scientifico
2. Sanità - Assistenza Sociale
3. Mass Media e Informazione
4. Volontariato
5. Materiali, Mezzi e Trasporti
6. Circolazione e Viabilità
7. Telecomunicazioni
8. Servizi Essenziali
9. Censimento danni, persone e cose
10. Soccorso Tecnico
11. Enti Locali
12. Materiali pericolosi
13. Logistica Evacuati
14. Coordinamento Centri Operativi


Il ruolo delle Regioni
Il decreto Bassanini 112/98, cosidetto Bassanini quater, affida alle Regioni il compito di indirizzare l'attività di preparazione dei piani di emergenza provinciali, comunali ed intercomunali. La Regione quindi ha un ruolo fondamentale nella fase di previsione - prevenzione, potendo agire sui suoi organi tecnici e controllando la gestione del territorio sulla prevenzione a lungo, medio e breve termine.

Assume quindi la funzione di Ente di orientamento, programmazione, indirizzo e controllo di attività che sempre più vengono svolte operativamente dagli enti territoriali. Le Regioni divengono quindi il punto di riferimento organizzativo e di indirizzo di un insieme di enti ed istituzioni, coordinandone le attività e orientandoli verso la prevenzione del rischio e la collaborazione.
Al momento dell'emergenza, le autorità di Protezione Civile (il Prefetto o il Ministro per il coordinamento della Protezione Civile) chiedono il supporto tecnico - operativo alla Regione, che risponde non solo con le sue strutture ma anche con quelle di tutti gli enti ad essa collegati.


4. Il Volontariato di Protezione Civile

Il volontariato di Protezione civile, divenuto negli ultimi anni un fenomeno nazionale che ha assunto caratteri di partecipazione e di organizzazione particolarmente significativi, è fenomeno nato sotto la spinta delle grandi emergenze verificatesi in Italia a partire dall'alluvione di Firenze del 1966 fino ai terremoti del Friuli e dell'Irpinia. In occasione di questi eventi si verificò, per la prima volta nel dopo guerra, una grande mobilitazione spontanea di cittadini di ogni età e condizione, affluiti a migliaia da ogni parte del paese nelle zone disastrate per mettersi a disposizione e "dare una mano". Si scoprì in quelle occasioni che ciò che mancava non era la solidarietà della gente, bensì un sistema pubblico organizzato che sapesse impiegarla e valorizzarla.
Da allora è iniziata l'ascesa del volontariato di Protezione civile, espressione di una moderna coscienza collettiva del dovere di solidarietà, nella quale confluiscono spinte di natura religiosa e laica, unite dal comune senso dell'urgenza di soccorrere chi ha bisogno e di affermare, nella più ampia condivisione dei disagi e delle fatiche, il diritto di essere soccorso con la professionalità di cui ciascun volontario è portatore e con l'amore che tutti i volontari dimostrano scegliendo, spontaneamente e gratuitamente di correre in aiuto di chiunque abbia bisogno di loro. Negli ultimi dieci anni, una illuminata legislazione ha riconosciuto il valore del volontariato associato (legge quadro 266/91), come espressione di solidarietà, partecipazione e pluralismo, incoraggiandone e sostenendone sia la cultura che lo sviluppo organizzativo.
Quando nel 1992 fu istituito, con la legge 225/92, il Servizio Nazionale della Protezione civile, anche alle organizzazioni di volontariato è stato espressamente riconosciuto il ruolo di "struttura operativa nazionale", parte integrante del sistema pubblico, alla stregua delle altre componenti istituzionali, come il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, le Forze Armate, le Forze di Polizia, il Corpo forestale dello Stato, ecc. La crescita del volontariato di Protezione civile è in continua, salutare espansione su tutto il territorio nazionale.
La forte apertura innovativa del Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e l'attenzione sistematica a ridurre al minimo le "barriere" burocratiche tra volontariato e Stato centrale, fatta anche di quotidiane e coraggiose scelte amministrative, ha contribuito al nascere di una identità nazionale del volontariato di Protezione civile, che si è rivelata di fondamentale importanza nelle gravi emergenze degli ultimi anni, e che si tende ora a ricondurre e ricreare, anche a seguito delle riforme sul decentramento amministrativo (D. Lgv. 112/98), in seno alle autonomie locali (Regioni, Province e Comuni).
L'obiettivo condiviso con le Associazioni di volontariato di Protezione civile è di creare in ogni territorio un servizio di pronta risposta alle esigenze della Protezione civile, in grado di operare integrandosi, se del caso, con gli altri livelli di intervento previsti nell'organizzazione del sistema nazionale della Protezione civile (sussidiarietà verticale), valorizzando al massimo le forze della cittadinanza attiva ed organizzata presente in ogni comune d'Italia (sussidiarietà orizzontale), in piena integrazione con le forze istituzionali presenti sul territorio.
Le organizzazioni di volontariato che intendono collaborare nel sistema pubblico di Protezione civile, si iscrivono in appositi albi o registri, regionali e nazionali.
Al momento, nell'elenco nazionale del Dipartimento della Protezione civile sono iscritte circa duemila cinquecento organizzazioni per un totale di oltre un milione e trecentomila volontari disponibili. Di essi, circa sessantamila sono pronti ad intervenire nell'arco di pochi minuti sul proprio territorio, mentre circa trecentomila sono pronti ad intervenire nell'arco di qualche ora.
Si tratta di associazioni a carattere nazionale e di associazioni locali, queste ultime tra di loro coordinate sul territorio di comuni, province e regioni, in modo da formare, in caso di necessità, un'unica struttura di facile e rapida chiamata per gli interventi. Più è alto il livello organizzativo delle associazioni, più solide sono la loro efficacia e la loro autonomia.
All'interno delle organizzazioni di volontariato esistono tutte le professionalità della società moderna, insieme a tutti i mestieri; questo mix costituisce una risorsa, sia in termini numerici che qualitativi, fondamentale soprattutto nelle grandi emergenze, quando il successo degli interventi dipende dal contributo di molte diverse specializzazioni (dai medici agli ingegneri, dagli infermieri agli elettricisti, dai cuochi a i falegnami). Alcune organizzazioni hanno scelto la strada di una specifica alta specializzazione, quali i gruppi di cinofili e subacquei, i gruppi di radioamatori, gli speleologi, il volontariato per l'antincendio boschivo.
Sebbene l'opera del volontariato sia assolutamente gratuita, il legislatore ha provveduto a tutelare i volontari lavoratori: in caso di impiego nelle attività di Protezione civile essi non perdono la giornata, che viene rimborsata dallo Stato al datore di lavoro, pubblico e privato.
Il ruolo insostituibile assunto oggi dal volontariato di Protezione civile, nel suo ruolo di custode naturale di ciascun territorio e forza civile di tutela e protezione di ciascuna comunità, merita non solo un pieno riconoscimento, ma anche un crescente sostegno pubblico per le dotazioni di mezzi, di materiali, di attrezzature, di formazione, preparazione e aggiornamento, tanto necessarie per l'ottimale utilizzo delle energie che vengono offerte in aiuto della collettività.